Attacchi di panico, la potenza di una reazione, articolo di Stefano Marchese psicologo Napoli

Tra i quadri sintomatologici che destano più preoccupazione, nelle persone che spesso non  hanno avuto precedenti esperienze di disagio psicologico, quello dell’attacco di panico è il sintomo più temuto. Anche se, a parte l’ acuzie del momento, potrebbe non avere ricadute nella quotidianità delle persone che ne soffrono.  Salvo che chi l’ ha avuto una sola volta ne  avrà sempre un  ricordo vivido, e spesso sfruttando una caratteristica della persona che si scatena alla massima potenza, nell’attacco, la suscettibilità alla paura, il soggetto torna spesso sulla vicenda, torna ad impaurirsi. Ecco perché spesso a conseguenza di un episodio del genere, accaduto anche una sola volta si mostrano delle situazioni in cui la persona ha obbiettive difficoltà a condurre la sua vita come faceva in precedenza anche se i sintomi non compaiono più. Difatti il momento dell’attacco di panico è spesso visto come uno spartiacque se non si ha la possibilità di rispondere in maniera adeguata alla situazione, elaborando ciò che è avvenuto. Ma cosa avviene nell’attacco di panico?

In base ad alcuni modelli, il più rappresentativo dei quali è, probabilmente, il modello psicologico e psicoterapeutico cognitivista  Post Razionalista, non tutti sono soggetti alla possibilità di avere un attacco di panico, ci vuole una certa forma di esperienza emotiva una certa situazione, e anche un momento di vita in cui si evidenziano cambiamenti anche sottili. Naturalmente niente nella psicologia e nella psicoterapia  è soggetto a determinismo, l’ uomo non è mai concluso una volta per tutte in una categoria, ma ci sono degli indicatori che ci dicono che in base ad una configurazione si scatena più probabilmente una reazione. La situazione scatenante è proprio ciò che  non è sempre subito  accessibile al cliente che chiede consulenza o terapia per questo sintomo ed è da qui che si deve partire per risolvere il problema, non perché una volta scoperta la causa il problema si risolva, ma perché una volta identificato, anche non in modo dettagliato, il contesto,  si delinea la situazione rispetto alla quale il soggetto si è “impaurito”. Difatti la base del panico è la paura, il meccanismo è piuttosto comune.

Ciò che sgomenta è ritrovarcisi  senza che ci siamo accorti dello stimolo pauroso, che è spesso un emozione che vissuta nel corpo. In questo caso specifico ad esempio un emozione, e una compresente situazione,  hanno stimolato una reazione fisiologica, ad esempio l’ accelerazione  del battito cardiaco, ad un certo punto,  la persona si accorge del battito cardiaco accelerato e l’ attenzione va tutta concentrata in quel fenomeno, la paura che ne consegue fa scatenare ancora di più la reazione, fino alla convinzione di avere un problema serio di natura cardiaca, tanto che alcune persone che soffrono di attacchi di panico fanno ricorso almeno una volta alle cure dei pronto soccorso.Spesso il meccanismo del panico è originato da situazioni chiare, le famose claustrofobie e agorafobie, la paura rispettivamente dei luoghi poco spaziosi, e dei luoghi troppo spaziosi. Ma sebbene questi siano alcuni casi specifici, non risolve il problema saperlo, se mai il problema si evita.

Si evita di prendere gli ascensori ad esempio. Anche in questi frangenti ben definiti avviene qualcosa che non è chiaro al soggetto, il pensiero e l’ immaginario quando si entra in una situazione in cui si è sensibile va verso il prefigurarsi la catastrofe,negli spazi angusti,  ad esempio gli ascensori,  il pensiero va all’impossibilità di reperire vie di uscita in caso di necessità. Il discorso è più sfumato per le paure dei luoghi aperti, e per altre situazioni in cui la sintomatologia non raggiunge la forza tipica della richiesta di soccorso medico, come evidenziavo in precedenza. Alcune situazioni sono più sfumate perché sono originate da contesti sociali, relazionali e valutativi. L’ attacco di panico, che in genere non risponde neanche ai criteri diagnostici comunemente condivisi, che si genera in queste situazioni danno ragione più di una modificazione del senso di sé in relazione a qualcosa o qualcuno. In genere persone che soffrono di questa configurazione del panico sono persone che tendono a controllare le situazioni e ad essere efficaci nel lavoro o nelle relazioni, quando qualcosa si rompe in questo senso di efficacia, il tessuto emotivo della paura, con le sue intensità e sfumature  viene sollecitato sul senso di aver perso il controllo, o una valutazione positiva di sé, e da qui può partire l’ agitazione che prende su di sé l’ attenzione fino a configurare i casi tipici di panico attraverso l’ amplificazione del pensiero e dell’immaginazione della catastrofe imminente, o configurazioni meno forti ma ugualmente in grado di preoccupare la persona.

Il meccanismo della paura,  è un meccanismo filogeneticamente antico, ovvero si presenta in forme abbastanza stabili ed è ben identificabile in altre specie evolute, ad esempio  in tutti i mammiferi. Questa emozione è in grado di scatenare una forza tale da non essere controllabile, il punto che si presenta al clinico, che avvii un atto terapeutico, sintetizzando,  è individuare  la situazione, circoscritta o ampia, che ha scatenato l’ episodio  e il pensiero catastrofico che l’ accompagna.Spesso si deve fare i conti con lo stupore del cliente prima di tutto però. Difatti essendo l’ attacco di panico genericamente una forma di rottura esperienziale, il cliente cerca ragione di questa trasformazione e soprattutto cerca il modo più veloce per tornare allo stato precedente l’ insorgere del sintomo, tale atteggiamento è legittimo soprattutto se consideriamo che le persone che chiedono cure per il problema, sono persone per lo più efficaci e competenti, con un ruolo di guida, scoprire di non poter controllare la loro reazione è uno capovolgimento degli abituali assetti di vita.

Un altro quadro sintomatologico collegato agli attacchi di panico e all’ ansia in genere, sono quei sintomi che oggi si chiamano funzionali, che sono meglio conosciuti come psicosomatici.  Nella moderna letteratura scientifica queste patologie hanno assunto su di sé un crescente interesse. In sintesi si è giunti alla conclusione che un emozione forte o meno forte ma continuata nel tempo, come nelle condizioni di stress , possa influenzare i meccanismi biologici, i singoli organi e sistemi più ampi, attraverso il fenomeno dell’infiammazione che è una risposta essenziale (come la paura d’ altra parte) che l’ organismo ha per rispondere alle aggressioni esterne, come ad esempio un  influenza. Difatti le coliti, le gastriti, alcune forme di dolori cronici e muscolo-scheletrici, sono una risposta infiammatoria, tanto ad un virus che ad un emozione disturbante. Il punto che differenzia tra i due casi è qui che l’ emozione riguarda il modo in cui una persona è nel mondo, un virus è un sistema molto più semplice, sebbene naturalmente tutti sappiamo la potenza di queste semplici forme di vita.
Un’  altra forma in cui si sviluppa il panico, tra quelle meno forti dal punto di vista dell’acuzie sintomatologiche ma che limita spesso la vita delle persone in modo significativo, è la paura di avere una malattia, in termini più  clinici  disturbo ipocondriaco. Tale quadro segue ciò che si è detto fino a ora. Un attenzione particolare al corpo con le sue sensazioni, in alcune circostanze o condizioni di vita può generare la convinzione di avere delle malattie. Tali convinzioni sono spesso accompagnate da dolori e disturbi che si possono far rientrare nell’ ordine delle infiammazioni, come quelli descritti brevemente in precedenza.

Concludendo queste variegate situazioni, sono tutte relative alla forza che una risposta corporea può avere, e ci guidano secondo alcune tracce da raccogliere in sede psicoterapeutica. In queste circostanze è essenziale il contatto tra psicologo e medico, soprattutto il medico  di base in quanto questo specialista conosce la storia della salute e delle malattie dei pazienti. È importante questo scambio perché bisogna avere chiara l’ evoluzione dei sintomi per poter fare una valida diagnosi differenziale, ovvero discriminare tra quadri di disturbi tra cui ci si potrebbe confondere, per la somiglianza dei sintomi.
In queste situazioni il terapeuta è chiamato ad accogliere il cliente, spesso sfiduciato perché dopo molte visite mediche si è sentito dire che il suo è un problema psicologico, comunicazione che spesso viene fatta sottintendendo che sono sintomi generati da un eccessiva lamentosità o addirittura costruiti ad arte per attirare l’ attenzione. Non è così, questo tipo di disturbi e disagi che chiamano in causa con sfumature diverse la forza di una risposta del corpo, non dipendono  dalla volontà o dalla consapevolezza in modo diretto. La volontà e la consapevolezza sono strumenti che vanno allenati per consentire alla persona di comprendere cosa nella sua vita si va modificando, qual’ è il tempo che sta vivendo, e come utilizzare il pensiero, in modo strategico per riuscire a mitigare i sintomi, e quindi per riprendere a progettarsi nel mondo.

Dott. Stefano Marchese, psicologo e psicoterapeuta dell’Associazione Vedanta.

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