Ansia necessaria, ansia patologia del necessario. Articolo redatto dallo psicolo Stefano Marchese

Oggi è chiaro che se non si soffre di ansia, qualcosa non va. Ed è diventato altrettanto normale assumere ansiolitici, spesso abbinati ad antidepressivi,  secondo i dati dei consumi di tutte le agenzie di controllo sul farmaco nazionali e internazionali. Ma cosa, succede alla salute? E soprattutto alla salute mentale? Per parafrasare il testo di uno dei più grandi pensatori del secolo passato, Gadamer, Dove si nasconde la salute?
Siamo così  perversamente attratti dalla malattia da riservarle la maggior parte della nostra attenzione, e dei nostri soldi. A livello regionale e nazionale la maggior parte del P.I.L. è spesso per la sanità pubblica, ormai in declino. Cosa significa questa attenzione, e questa spesa?
Cercherò di dare dagli indirizzi, non delle risposte come è consuetudine per chi come me è un clinico, della salute, della salute mentale e della comunità.

Torniamo alla norma, ormai non è più consentito, non stare in ansia. Desta sospetto vedere una persona serena, o almeno invidia. L’ ansia invece tranquillizza, una persona ansiosa ci fa vedere che il mal comune è mezzo gaudio…..
Di sicuro mi sto riferendo ad un certo tipo di ansia. L’ ansia connessa al fare, ad ottenere risultati in altri termini quella derivante dall’ essere impegnato. Questa ansia è necessaria perché è comunemente accettato  e ben voluto chi è impegnato, senza pensare a giustificazioni di carattere economico. Questo tipo di ansia gioca un ruolo fondamentale soprattutto a livello dell’ immaginario e del discorso che sempre facciamo tra noi e noi ma che non sempre avvertiamo. L’ immaginario di una persona media nel nostro paese e nel resto dell’ occidente pur variando in base alle culture specifiche, funziona allo stesso modo. Ognuno di noi vive delle epoche, nel suo percorso di vita, c’ è l’ epoca dello sviluppo, della crescita culturale, della definizione degli obbiettivi, della messa in pratica di questi obbiettivi, della valutazione, e infine c’ è l’ epoca della chiusura, che diviene sempre più un problema sotto il profilo etico, morale, sanitario e culturale in genere.

Oggi per tutti ci sono diverse possibilità, lo scenario può sempre cambiare, scegliere è il  problema. Se nel nostro immaginario ci sono eccessive possibilità, noi siamo portati a rispondere ad eccessive possibilità di azione a meno che non si rimane chiusi nell’ immaginario che diventa fantasticheria, e ci isola dal mondo. Ma questo è un altro problema. L’ ansia di cui mi sto occupando è quella necessaria,  rispetto alla scelta dell’ azione da compiere tra una miriade di possibilità. L’ immaginario di cui sto parlando è quello necessario all’ uomo per capire il proprio futuro. Il problema è come essa diventa intollerabile al punto da dover ricorrere ai farmaci o alla psicoterapia, o ad altre forme di terapia che rappresentano un valido sostegno dal punto di vista empirico e qualche volta scientificamente provato, alle terapie farmacologiche e alle terapia psicologiche. L’ indirizzo che suggerirò brevemente è che il problema che intensifica l’ ansia “normale” necessaria, sia “semplicemente” la quantità di possibilità aperte dal soggetto sul piano mentale o come azioni concrete, e il confronto con il momento della vita in cui questa situazione emotiva diventa problematica. Due casi tipici per fare un esempio. È bene chiarire che esempi del genere, sono schemi per tratteggiare delle situazioni tipiche, nel lavoro terapeutico o di consulenza, è sicuramente più rilevante il caso unico e singolo nella sua irripetibilità. Spesso donne che hanno scelto di lavorare e avere una famiglia per approfondire tutte le possibilità che a loro si offrono,  ricoprono molti ruoli, a lavoro , in famiglia, nella relazione di coppia. Capita che in relazione a questi impegni iniziano a sorgere dei disagi, in quanto è fisiologico stancarsi. Ma i disagi vengono tollerati perché l’ essere indaffarato rientra nelle aspettative.

Quando il carico si fa pesante, ci si prefigura la possibilità di abbandonare un ruolo, o di svolgerlo in maniera rimaneggiata, ma ciò determina una completa rivalutazione della propria posizione di vita, nel momento che questo fatto è stato oggetto di consapevolezza il tessuto emotivo di cui siamo fatti è già stato sollecitato e adesso ci si trova nel disagio di cogliere un emotività che ha magari dato da qualche anno segnali, e farne oggetto di riflessione per aprire nuove possibilità, ma prima si deve ricostruire come questo tessuto emotivo funziona e come, non necessariamente perché o la causa specifica, sia attivato troppo. Lo stesso vale per gli uomini, ma qui c’ è da fare ulteriori distinzioni, che si faranno in altra sede. Rispetto al genere maschile  il momento più rappresentativo oggi dello sviluppo di sintomatologie ansiose, è un po’ precedente alla fase descritta per le donne, oggi si è spostata alla fase dell’ impegno in uno dei percorsi della vita, lavorativo e/o affettivo. Si procrastina l’ impegno perché comunque ci si aspetta dall’ uomo una certa stabilità rispetto alla quale attivamente ci si sottrae, mantenendo aperte più possibilità possibili per evitare il fallimento, ma se sul piano dell’ immaginario ciò si trasforma in un empasse che non consente l’ azione,  sul piano delle azioni ciò può comportare un iper impegno legato alla necessita di fare il più possibile e dimostrare di essere capace, ma di tralasciare un progetto sensato che necessita di tempo e di attenzione. Quando ci si ritrova con il tessuto emotivo,  di cui ho già scritto,  attivato da un po’ su questo tema, le emozioni orientano l’ attenzione su loro funzionamento ma il filo si è perso. Ciò comporta nel peggiore dei casi isolamento, sentirsi bloccati e incompiuti o sentirsi pieni di attività che non sono però gradite minando il senso di autenticità. Problemi che fanno vedere la loro rilevanza anche sul piano sociale, con la questione  di un intera generazione che ha abbandonato la possibilità di progettarsi nella realtà.

Nella clinica, e in psicodiagnostica si evidenzia spesso la necessità di fare una  diagnosi differenziale, per vari scopi, sia terapeutici che medico legali e di psicologia giuridica. L’ ansia più problematica è quella che si trova in quadri sindromici complessi, affiancati alla depressione o ad altre forme di manifestazione patologiche dell’ umore, o anche a forme psicotiche. Ciò che ho definito tessuto emotivo è il nucleo mutevole che da presenza alla persona, soprattutto quando c’ è adattamento c’ è possibilità di essere liberi di scegliere. Naturalmente la libertà di scegliere le proprie possibilità  non rientra direttamente nei manuali statistici e diagnostici come DSM IV o l’ ICD 10, che sono quelli più diffusi  ad oggi. Ma alla luce di questa, il clinico una volta ottemperati gli obblighi che per legge o per mandato ha, non può esimersi  dall’ osservare che ciò di cui si deve prendere cura tra l’ altro e dare sostegno alla possibilità dell’ utente di scegliere le proprie possibilità e intraprendere un percorso per realizzarsi. Alla luce di ciò si rende necessario chiedere dove si nasconde la salute in un contesto che ha più occhio per la malattia. L’ ansia quindi è sia una malattia ma è una malattia che trae la sua origine in un modo sano di funzionare dell’ uomo, ed è necessario partire da ciò, da questo modo sano, insieme al trattamento della malattia quando il caso lo richiede con tutte le procedure scientifiche adottabili, che si può leggere il fenomeno dell’ ansia.  L’ ansia  è sempre più parte del nostro quotidiano da dimenticarcene, salvo poi scoprirci un giorno troppo ansiosi. Per concludere un altro spunto di riflessione ci si accorge di essere ansiosi, troppo ansiosi, quando si inizia a capire che in realtà noi siamo un confronto diretto col tempo che viviamo, quello dell’ orologio e quello delle occasioni, momenti vissuti, che ci fanno capire, nel caso di essere in una situazione di difficoltà rispetto al normale flusso dell’ ansia. Di conseguenza mi sento di lasciare un solo consiglio, bisogna coltivare a poco a poco il nostro rapporto col tempo, scoprirne i segreti che lo costituiscono e ci costituiscono quindi.

 

Articolo di Stefano Marchese, psicologo Napoli.